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Linguaggio inclusivo e scrittura inclusiva: come sta cambiando la comunicazione?

linguaggio inclusivo e scrittura inclusiva

Ciao a tutti/e, tutt*, tutt@, tuttə, tuttu, tuttx, tutt3!

No no, non sto sbattendo ripetutamente la testa sulla tastiera, né tantomeno mi si sono inceppati i tasti. 

Vi sto, invece, introducendo al mio articolo sulle nuove e dibattute forme di comunicazione inclusiva testuale e parlata (che sicuramente avrete già visto bazzicando online!).

Da un lato la politica e le istituzioni italiane non sembrano vivere nel 2022 continuando in modo imperterrito a non considerare i diversi concetti di inclusione (DDL Zan, do you remember?). Dall’altro, la maggior parte della società sembra muoversi in modo diametralmente opposto, apparendo sempre più attenta alle varie categorie sociali, ai problemi di genere, all’abbattimento dei muri ostili e delle etichette.

Mai come in questi ultimi due anni, infatti, è emerso il bisogno di parlare, accogliere, rispettare, normalizzare le varie identità esistenti.

Creator, influencer, copywriter, brand, media, agenzie, aziende, stanno masticando sempre più il linguaggio di inclusione all’interno della loro comunicazione social e web.

 

Il corretto uso del linguaggio inclusivo consente, infatti, di esprimersi facendo sentire ogni individuo rappresentato sulla base dei propri valori e delle proprie scelte.

È stato persino creato anche un manifesto testuale e illustrato intitolato “Il Manifesto della comunicazione non ostile e inclusiva”, un semplicissimo vademecum, tradotto in 30 lingue, con i 10 princìpi di stile da ricordarsi per comunicare in rete e nella vita reale senza sbagliare. 

Testi inclusivi e istruzioni per l’uso.

Nella fase di realizzazione di un testo è diventato fondamentale porsi delle domande, capire chi si ha di fronte, sforzarsi di vedere le cose anche da altri punti di vista.

In Italia si stanno diffondendo velocemente nuove prassi per tentare di evitare le disuguaglianze di genere e dirigersi totalmente verso forme scritte e parlate inclusive. (Sì, parallelamente, si sta diffondendo anche l’idea che così facendo si stia dichiarando morte all’italiano. Shame on you!). 

Fonte: Tenor

Usare testi aperti e tolleranti definisce una svolta per smorzare quanto più possibile l’atteggiamento discriminatorio e penalizzante nei confronti delle donne (largo all’uso dei femminili professionali!) e della comunità LGBTQIA+.

Come risolvere il "problema" del maschile sovraesteso, che non è un uomo che è cresciuto troppo?

In lingue come l’inglese, trovare una quadra nel dibattito di genere è stato mooolto più rapido e indolore. Con l’aggiunta del neutro “they/them” (accanto a she/her e he/him), per descrivere tutta la gente che non si identifica né nel maschile né nel femminile e la comunità transgender, sono stati risolti gran parte dei problemi sul linguaggio inclusivo.

La lingua italiana, invece, come altre lingue romanze, non aiuta in questo obiettivo perché, ahimé, è strettamente binaria e con sostantivi e pronomi genderizzati, senza il neutro/misto.

Si è sempre ricorso, infatti, al convenzionale “maschile sovraesteso” per simulare inclusione.

Fonte: Tenor

Per una resa “neutra”, potrebbe essere buona prassi l’indicazione di entrambe le forme, cioè sia il maschile che il femminile. Questa scelta, anche se condivisa, non viene definita però come totalmente inclusiva, poiché esclude chi non si sente parte né dell’uno né dell’altro genere. Insomma, forse è più consigliato farne uso se si conosce già il sesso in cui si identifica la persona con cui si interloquisce.

Si è pensato, quindi, di iniziare a scrivere testi, copy sui social, email, con parole troncate, in un linguaggio più gender fluid: per esempio l’aggiunta a fine parola di un carattere tipografico sordo come l’asterisco “*” o la chiocciola “@”, molto usati nei linguaggi digitalizzati e informatici, ma anche con la “u”, la “x” o con il numero “3”.

Altra alternativa molto diffusa, nata inizialmente come una forma di protesta scherzosa soprattutto sui social, protagonista di un dibattito non ancora concluso, è la vocale schwa o scevà, simbolo dell’Alfabeto Fonetico Internazionale, conosciuto anche come IPA (…no, non la birra).

La desinenza indistinta schwa graficamente, si presenta, come una “e” capovolta “ǝ”. Stando alla Treccani, si tratta di una vocale intermedia tra la “a” e la “o”, di un fonema, di un suono vocalico senza sonorità, accento o tono, che si differenzia dal resto dei simboli per la possibilità di essere presente nella trascrizione fonetica.

Vera Gheno, conosciuta su Instagram come a_wandering_socilinguistic (nella sua bio si definisce socio-linguista “schwaccinata”), è una linguista molto nota nonché una delle principali sostenitrici dello schwa e del gender fluid. Già nel 2019 ha scritto un libro, dal titolo “Femminili singolari. Il femminismo è nelle parole”, altamente consigliato per comprendere maggiormente il significato etico, linguistico e sociale della comunicazione inclusiva di cui vi sto parlando.

Fonte: Tenor

Comunicazione inclusiva anche nei form sui siti.

Beh, siccome il web è sempre avanti 😎, nei form online è già diffuso da diversi anni l’inserimento di altre opzioni oltre ai tradizionali M di maschio e F di femmina.

Le persone che popolano il mondo dell’UX Design confermano, infatti, che l’ideale sarebbe lasciare sempre un campo libero, in modo che chiunque possa autodefinirsi come crede: “soggetto non binario / altro / preferisco non rispondere”.

Anzi, in contesti dove non è strettamente necessario, è suggerito il non richiedere di specificare nessun tipo di genere.

Quindi dobbiamo stravolgere e capovolgere l’uso e la struttura della lingua italiana?

No, non si tratta di stravolgere e capovolgere l’uso e la struttura grammaticale dell’italiano, ma di ricordare che la lingua, essendo uno strumento mutevole e specchio della società, può essere adeguata ai tempi e usata a seconda delle esigenze che il mondo richiede.

 

Più che di cambiamento linguistico, forse, sarebbe bene parlare di cambiamento comportamentale poiché l’inclusione è una questione essenzialmente di rispetto, educazione e perché no, lessico adeguato.

Chiunque potrebbe provare a porsi, con empatia, dinanzi alle necessità sociali senza urlare allo scandalo della grammatica italiana o alla censura, all’insegna del “eh ma non si può dire più niente!”

Fonte: Tenor

Al di là dell’essere d’accordo o meno, sarebbe già un passo avanti approfondire e capire i perché e abbracciare, per quanto possibile, questa ideologia dell’ascolto e dell’attenzione nelle richieste di rappresentazione.

“Le parole sono importanti”, diceva Nanni Moretti, e se tramite esse si possono ridurre i pregiudizi e fare stare a proprio agio le persone, senza definirle a priori, perché non provare a usarle diversamente?

Mentre riflettete, vi segnalo un interessante panel dello scorso anno sul tema “diversity & inclusion” dal titolo “Il linguaggio inclusivo esiste!”, condotto da Flavia Brevi, Alice Orrù, Donata Columbo e Vera Gheno e moderato da Giulia Tosato.

Floriana Mangano

Floriana Mangano

Ruolo: Web Designer Junior. Pregi: determinata, concreta, veloce.

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E cioè facciamo tante cose per i nostri clienti: siti web, gestione social, grafiche e loghi. Insomma grazie al nostro team di professionisti vari riusciamo ad offire un servizio di comunicazione a 360° e riusciamo a gestire tutto il processo dall’inizio alla fine!

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